sabato 29 ottobre 2011

Varsavia 1983


La neve seguitava senza sosta ad ammantare la città, in quella tarda mattinata invernale. Tomasz il guercio ancora dormiva, accidenti a lui. Mi alzai e uscii, stanco di aspettarlo e in più spinto da una spontanea propulsione che da tanto non avevo più il privilegio d'ospitare nel mio cuore. Varsavia, finalmente Varsavia. Vi ero tornato solo la sera prima dopo due lunghi, tediosi anni di lontananza forzata per lavoro. Infilavo un passo dietro l'altro lungo Nowy Świat (1), piacevolmente sorpreso di non trovarla pattugliata dalla milicja (2); provai per un istante un sottile dispiacere nel rivedere alcune architetture, regalo non gradito dei russi, ma cose da nulla: ero di nuovo lì. E per restarci, stavolta.

A metà della mia passeggiata, quando decisi d'imboccare una strada secondaria per tornare da Tomasz, buttarlo giù dal letto e ricordargli la wòdka che mi doveva, m’imbattei in una chiesa stracolma di gente; ve n'era così tanta che anche fuori, in strada, si passava a stento. Tutti in silenzio, solo una voce perforava gli altoparlanti. Qualche decina di metri più in là, se ne stavano minacciose le auto della Zomo (3) coi lampeggianti accesi, e un nutrito contingente di miliziani si andava radunando al centro della via, in assetto antisommossa. Capii che quella voce chiara e ferma che scaturiva dall'interno della chiesa doveva essere quella di Popiełuszko, meglio noto come padre Alek. Conosciuto da tutti - in special modo dal Partito - era forse l'unico esempio di sacerdote che aderisse così apertamente alla causa di Solidarność (4).

Nelle conversazioni con Tomasz e gli altri ci s’interrogava sull'eccezionale coraggio dimostrato da padre Alek, stretto nella morsa fra la politica vaticana del compromesso e il regime sovietico; nonostrante l'ambigua legge marziale in vigore (5), egli esternava la sua omelia carica d’incitamenti tanto pacifici quanto eloquenti. Vi era ogni ceto sociale ad ascoltarlo. Certo, in prima fila sedevano gli operai, ma subito dietro si riconoscevano dottori, avvocati, artigiani e molte, moltissime donne. L'insofferenza al clima di terrore era trasversale, alimentata dalle scelte politiche del Generale Jaruzelski (6), sempre più in balia delle decisioni provenienti da Mosca.

Quella mattina, come dicevo, vi erano talmente tante persone assiepate dentro e fuori dalla chiesa che alla Zomo non servì nemmeno la scusa: non appena ricevuto l'ordine, i miliziani cominciarono a urlare con un megafono alle persone in strada di disperdersi. Mentre tutti rimanevano esattamente dove si trovavano, cercai di farmi frettolosamente largo per riprendere la mia strada. Indispettiti dal comportamento ostile, i miliziani non usarono altri avvertimenti: avanzarono con passo sostenuto, scudo protettivo e sfollagente in bella vista. Intimiditi, alcuni - i più anziani, che non a caso s'erano tenuti il più esterni possibile - si defilarono, mentre tutti gli altri si strinsero l'uno all'altro, compattandosi. Mi ritrovai a quel punto bloccato nel gruppo di astanti, vanamente tentando di sortirne.

Poi ecco un colpo sordo. Subito seguito da veementi strattoni e calci e randellate distribuite a caso tra i civili, il che generò all'istante una ressa proprio davanti all’ingresso della chiesa; quelli che non ne furono coinvolti direttamente iniziarono a spingersi l'uno con l'altro per evitare i violenti colpi, ma fu giocoforza che nella concitazione qualcuno venisse calpestato, soprattutto - e di proposito - dalla Zomo. Mi ritrovai presto a terra sotto il peso di un uomo corpulento, il quale divideva con me le pedate di tre miliziani. Cercai di alzarmi, e rischiai di farcela anche... ma una di quelle bestie furenti mi prese, mi alzò letteralmente da terra e mi scaraventò via. Il tempo di realizzare d’aver nuovamente sopra di me qualcuno o qualcosa, che un improvviso colpo in pieno volto mi tramortì. Le grida si mescolarono al dolore acuto che provavo all'altezza del setto nasale; caddi per qualche istante in un profondo stordimento. Tutt'intorno i colori sbiadivano e i rumori si fondevano in un unico pungente ronzio, quando mi sentii a un tratto liberare dal peso che da sopra mi opprimeva. Ciò in qualche modo mi destò: raccolsi le forze residue per tentare finalmente d'uscire da quella bolgia dantesca, e fu lì che intuii qualcuno afferrarmi un braccio e trascinarmi fuori. Provai ad aprire gli occhi, ma mi accorsi di vedere tutto sfocato, nebuloso. Avvertivo di fianco a me la presenza di un uomo; non so perché, ma ebbi come l'impressione che piangesse. Contestualmente, percepivo i colpi dei miliziani e tutto il trambusto scemare. Poi placarsi. Con fatica mi misi in piedi ma, instabile, ricaddi a terra. Presi tempo: mi sentivo debole, allora pensai solo a respirare. Infine mi guardai: di sangue ne avevo non so quanto addosso, ma soprattutto in bocca, che quasi mi ci strozzavo. Qualcuno toccò la mia spalla dicendo trafelato: ce la fai? Forza, appoggiati a me. Mi venne spontaneo alzare la testa: ce l'avevo davanti, Padre Alek.

Poco dopo mi sedetti dolorante sull'ultimo gradino della scalinata che conduceva in chiesa, gettando le spalle pesanti contro il muro e abbandonando gli arti intorpiditi. I miliziani erano andati via, portandosi dietro i civili in grado di camminare; confuso com'ero non riuscivo a stabilire quanto tempo fosse durata quella vile azione, forse una mezz'ora, non di più. Mi accorsi di avere di fianco una donna, e ancor più in là altri due uomini ridotti più o meno nelle mie condizioni. Reclinai la testa, quasi sbattendola volontariamente contro il muro, in preda a uno smarrimento psicofisico. Che cosa avevamo fatto noi? Cosa avevo fatto io per essere trattato come un sacco di patate? No, in quei due anni di assenza il clima non era cambiato d'una virgola, maledizione! E che profonda amarezza l'averlo constatato in quella maniera. Piansi. Ma presto mi sentii un idiota, così chiusi gli occhi tentando di asciugarli con l'estremità della manica del cappotto. Mentre in realtà non facevo altro che imbrattarmi ancor più di sangue, vidi due uomini e una suora uscire da un edificio adiacente alla chiesa e dirigersi verso noi disgraziati; nel volto di uno dei due riconobbi padre Alek. Quando mi fu vicino, pronunciai istintivamente una parola che nelle intenzioni voleva essere un grazie, ma che non fu altro che uno ridicolo suono indefinito. Eppure egli rispose:nessuno ringrazi nessuno vi prego, entrate con noi, venite... c'è un dottore e della minestra in refettorio. Un uomo canuto gli disse allora che non si poteva nemmeno sperare di riconquistare uno straccio di libertà. La vostra libertà - rispose lui - siete voi. Ci accompagnarono in sacrestia, il dottore ci medicò e ci fu dato da mangiare. Non vidi più padre Alek quel giorno. Mi dissero che si era recato dai miliziani per chiedere il rilascio dei civili arrestati.

Meno d'un paio di anni più tardi, il 19 ottobre 1984, don Jerzy Popieluszko, di ritorno da un servizio pastorale a Bydgoszcz - nel nord della Polonia - al quale gli era stato vivamente sconsigliato di presenziare, fu sequestrato da tre funzionari del Ministero dell'Interno e da questi brutalmente picchiato. Rinchiuso in fin di vita nel bagagliaio dell'auto dei tre, il corpo fu gettato nella Vistola e ritrovato dieci giorni dopo dai sommozzatori.






(1) Una delle principali strade di Varsavia.
(2) Polizia di stato nei paesi della sfera comunista.
(3) Zmotoryzowane Odwody Milicji Obywatelskiej, corpo paramilitare utilizzato dal governo della Repubblica Popolare di Polonia in special modo per la repressione di rivolte negli anni '70 ed '80.
(4) Niezalezny Samorzadny Zwiazek Zawodowy Solidarność (Sindacato Autonomo dei Lavoratori), nato a Danzica nel 1980 a seguito degli scioperi nei cantieri navali.
(5) La legge marziale fu proclamata in Polonia nel periodo tra il 1981 ed il 1983 dal generale Jaruzelski.
(6) Wojciech Jaruzelski, Segretario del Partito Operaio Unificato Polacco (PZPR) dal 1981 al 1989.


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