Caro Hans,
queste righe giungono a te dopo un lungo attendere, ne sono cosciente. Pur sapendoti in apprensione per le mie vicissitudini non ti ho ragguagliato. Ti prego tuttavia di riporre ogni risentimento per il tempo necessario alla lettura di questa mia, poiché sono persuaso di poter infine trovare riparo sotto la vasta ala della tua comprensione. Come quella volta a Vienna, dove, disperato per la vuotezza e la sterilità delle mie idee, mi accingevo collerico a deludere anche l’ultimo committente che avesse riposto fiducia nelle mie capacità compositive; allora, pazientemente, ti sedesti al clavicembalo e componesti per me. Ricordo, nemmeno te ne ringraziai. Ebbene, è ora a te, fratello mio, che confido quanto segue senza più remore e affido le ceneri di quel fuoco che dentro mi ardeva. E che mi ha devastato.
La neve seguitava senza sosta ad ammantare la città, in quella tarda mattinata invernale. Tomasz il guercio ancora dormiva, accidenti a lui. Mi alzai e uscii, stanco di aspettarlo e in più spinto da una spontanea propulsione che da tanto non avevo più il privilegio d'ospitare nel mio cuore. Varsavia, finalmente Varsavia. Vi ero tornato solo la sera prima dopo due lunghi, tediosi anni di lontananza forzata per lavoro. Infilavo un passo dietro l'altro lungo Nowy Świat (1), piacevolmente sorpreso di non trovarla pattugliata dalla milicja (2); provai per un istante un sottile dispiacere nel rivedere alcune architetture, regalo non gradito dei russi, ma cose da nulla: ero di nuovo lì. E per restarci, stavolta.
Circa sette mesi fa, mentre a Bengasi si festeggiava, scrissi questo post per dire cosa pensavo sulla decisione dei volenterosidell'Onu d'intervenire in Libia. Quel post lo conclusi con un interrogativo: cosa succederà se i ribelli, nonostante gli aiuti, non dovessero farcela? Bene, con sollievo questa domanda può rimanere inevasa, visto che il Cnt ce l'ha fatta. Su Gheddafi si è scritto, si scrive e si scriverà molto; di attentati, come tutti i dittatori, ne ha subiti molti in questi decenni, uno su tutti quello che ha provocato la strage Ustica (a questo proposito, l'ex leader libico accusò gli Stati Uniti di aver abbattuto il Dc-9 Itavia con un missile - strageustica.it, pag. 1405).
Guardando l'opera di Luca Cervini, Io Parallelo - Dittico, mi sono detto: perché non raggruppare in un post alcune delle opere contemporanee che secondo il mio gusto - pacifico - meritano? Mi sono (im)posto un unico limite: massimo tre lavori per ogni artista. Sono da sempre interessato alle immagini - il mezzo comunicativo più diretto e universale - alle tecniche che aiutano a partorirle e al background ispirativo (non so bene perché, ma quasi sempre dark oriented, sia per i temi che per la "tavolozza") degli artisti. Non a caso tempo fa (ottobre 2009) dedicai ilprimo postdi questo blog a un'opera di un amico di vecchia data, Stefano Fiore, artista dalla particolare sensibilità - autore tra l'altro della copertina del mio primo libro di racconti Conversazioni con un gargoyle.
Questo post è in divenire: ogni volta che trovo lavori - di qualsiasi tipo - che mi colpiscono, li aggiungo agli altri. [Clicca sulle immagini per ingrandirle]
« Hey Ed, fratello! Che ci fai in questo buco di merda? »
« Cody! È un bel po' che non ci si vede... ho appuntamento con una ragazza qui. Sono in anticipo... »
« In questo pub schifoso? Beh, dev'essere una altolocata allora! Ma non t'eri sposato?»
« Che hai capito? È una giornalista... »
Per qualche motivo che ignoro, l'architettura degli edifici mi ha sempre attratto. Perfino quella edilizia, che non ha - fortunatamente non sempre - alcuna velleità artistica. All'interno di un mio vecchio racconto scrissi questo:
Vi sono persone che, ormai adulte, si guardano indietro tentando di comprendere fino a che punto i loro criteri di ragionamento siano stati condizionati dalle convenzioni della società - intesa in senso volutamente generale, in quanto ognuna ha i suoi dettami più o meno vincolanti. Quesito secolare - è vero - ma senza tempo, poiché poco dopo il debutto nella mente già s'insinua nell'intimo più profondo, ed è tanto virulento quanto inconfessabile. Così intenso da provocare un processo catartico: una volta smascherato il grado di adesione a modelli precostituiti, ci sentiamo svuotati di un contenuto che sì non era il nostro, ma su cui facevamo comunque affidamento. Finiamo col pensare d’essere stati ingannati (da chi?) e, per una sorta di autodifesa, diminuiamo la volontà di mantenere la giusta dose di obiettività. A questo punto il processo può "sbandare" bruscamente verso una fase deleteria di scarico delle colpe e arenarsi: attribuire agli altri le nostre lacune della capacità di scegliere è ammettere implicitamente che quegli altri abbiano il controllo su di noi. Un controllo che si esercita in maniera direttamente proporzionale al bisogno di riconoscimento che abbiamo.
Un'amica una volta mi disse che non si riesce a stare da soli con se stessi quando non si sopporta il peso dei propri pensieri - cioè della causa da cui scaturiscono. Se Ivan Il'ič, nella parte finale della sua vita, avesse potuto, avrebbe certamente evitato di rimanere solo; si sarebbe volentieri confuso tra i colleghi di lavoro o tra le pile di documenti dalle pagine ingiallite, pur di riflettere su cose che non lo riguardassero. Ma non poteva. Non più. Perché non puoi svignartela quando ciò che ti fa male è il tuo corpo. Ed è per questo che il suo processo di catarsi arriverà fino in fondo. Ma chi era Ivan Il'ič? Dove viveva?
Un vecchietto, ieri mattina, leggendo questa scritta (Più conosco le persone... più amo il mio gatto!) apposta dietro uno scooter "parcheggiato" nel bel mezzo del marciapiede, è sbottato: "Certo, er gatto mica te manda affanculo! O armeno, nun lo fa nella lingua tua!"
Per quel che riguarda il processo risorgimentale, nei suoi Quaderni dal carcere, Gramsci pone spesso un confronto tra moderati (cattolici come Gioberti prima e liberali come Cavour poco più tardi) e radicali, nella fattispecie del Partito d'Azione (fondato da Mazzini a Ginevra nel 1853), e più specificamente su chi tra questi due abbia avuto una più ampia visione dello svolgersi degli eventi e del proprio ruolo all'interno di essi. Da ciò, la maggiore o minore capacità d'influenzarli o di "guidarli". Non vi sono dubbi, secondo Gramsci, sul fatto che la migliore organizzazione e il più efficace senso pratico abbiano finito per far pendere l'ago della bilancia dalla parte dei moderati cavourriani.
Sono partito con l'idea che bisognava vedere l'Aquila così com'è ridotta ora. Torno con la convinzione che sia necessario sottoporsi a un tale shock visivo per tentare di comprendere la tragedia che, poco più di due anni fa, fece l'infelice scelta di questo teatro per andare in scena, lasciando in eredità la sua desolante scenografia. La maggior parte delle strade - grazie al lavoro di forze dell'ordine, volontari e cittadini - è ormai libera da detriti e calcinacci e quindi percorribile, fatta eccezione naturalmente per la zona rossa, che presenta inquietanti analogie con lo scenario post-atomico di Pripjat', nell'ex Urss.
Alcune foto scattate all'interno del cantiere della futura stazione Metro di Piazza dei Mirti (Linea C) durante un incontro organizzato da ATAC S.p.a. nel dicembre 2010. Click to enlarge.
Sento l'Universo come un infinito cavolfiore romano. Sì, di quelli che si trovano su un qualsiasi banco di verdure al mercato. Nelle sue forme è ben visibile un frattale, cioè un'immagine che non fa che ripetersi su varia scala. Gli studi geometrici del matematico Benoît Mandelbrot nella seconda metà del secolo scorso, hanno cambiato il modo di vedere la materia e le sue forme, anche le più complesse. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso... E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento (attribuita a Ermete Trismegisto). Il senso è all'incirca questo:
Un ex militare olandese in pensione, un radioamatore, a pochi giorni dall'inizio delle operazioni in Libia da parte dei willings per l'attuazione della No-fly zone, è riuscito a intercettare la comunicazione (prima in inglese, poi in francese e infine in arabo) di un caccia americano ad alcune navi libiche, e l'ha postata sul suo account Twitter.
Questa è un'immagine dellla famosa isola d'immondizia, il Pacific Trash Vortex, che staziona nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico. Lo stesso che l'11 marzo scorso, a causa di un terremoto di magnitudo 9.0, ha vomitato devastazione e morte sulle coste del nord-est di Honshū, la più grande e principale isola del Giappone. Tutto ciò che la violenza dell'onda mastodontica ha sradicato dalla terra nipponica e trascinato di forza nell'Oceano, andrà molto probabilmente ad aumentare il volume già smisuratamente dilatato del Pacific Trash Vortex. Abbiamo un posto simile anche dentro di noi, virtuale ovviamente, in cui finisce ciò che rifiutiamo, ciò che non desideriamo più ricordare. Un luogo tetro e maleodorante del quale conosciamo bene la strada tortuosa, lastricata di ricordi contundenti, di echi di parole aguzze, di volti di persone che abbiamo allontanato in fretta dalla nostra vista. Di memorie che sembravano sopite e che invece scopriamo ancora avere lame affilate. Il terremoto e lo tsunami prima e l'incidente di Fukushima Daiichi poi, hanno condotto obtorto collo il popolo giapponese proprio lì, nell'oscurità in cui galleggiano le carcasse putride delle sue vecchie e terribili paure. E le hanno risvegliate di soprassalto. Destro-Sinistro-Uppercut: Knockout.
Eppure, non è un caso che il paese tecnologicamente più all'avanguardia al mondo sia anche quello più vulnerabile per natura; è l'arte zen di tramutare la necessità in virtù, di tenere il bicchiere sempre vuoto affinché possa riempirsi.
Le impressioni che alcune coincidenze provocano sono talmente intense d'arrivare a un pelo dal dissuaderci che tutto sia frutto d'un preciso disegno. Sorvolando ora sul disegnatore e sulle considerazioni leibniziane riguardo il libero arbitrio, mi soffermo su chi rimane vittima di quella costante roulette russa che è il caso.
Giorni fa da un articolo di un quotidiano ho appreso che, a causa del deterioramento di un pigmento del giallo cromo, uno dei tubetti di colore più usati dai pittori della fine del XIX secolo, molte opere di celebri (e non) artisti di questa stupenda stagione dell'arte rischiano seriamente di mutare d'aspetto. In negativo, naturalmente. "Manet, Pissarro, Renoir, Seurat...", ma soprattutto loro: i Girasoli di Van Gogh. Questa serie di quadri, oggi purtroppo assurta a icona pop a causa di mere scelte commerciali, conserva dunque la tara di chi l'ha generata; un vero e proprio dramma genealogico: autodistruzione ereditaria. Coincidenze.
"Il punto è che è proprio scemo avere un’alta stima d’una cosa solo perché c’è capitata per caso. Sono fiero del mio codice fiscale. Sono orgoglioso di portare il 42 di piede. Fa ridere, eh? Le persone che dicono d’essere orgogliose – o fiere – d’essere nate in un posto, direbbero lo stesso se fossero nate in un altro. Ci sono davvero tante cose nel mondo che amiamo perché ci piacciono: la nostra musica, il proprio piatto preferito, il posto più bello che conosciamo, una poesia dal tono giusto. Ma amare un pezzo di terra solo perché ci è capitato di nascerci è davvero sciocco: non è merito tuo, né suo. Una volta chiesero a un presidente tedesco se amasse la sua patria: lui rispose «no, amo mia moglie»".
Una gradita notizia: l'Italia, dopo aver proposto la moratoria votata dall'Assemblea delle Nazioni Unite nel 2007, è ancora in prima linea contro la pena di morte. Lo testimonia questo articolo apparso su "la Repubblica" il 23 gennaio scorso.
Ciò mi offre il destro per dire quello che penso a riguardo, e cioè che non considererò mai davvero civilizzati quei paesi il cui codice penale prevede ancora la pena capitale. È una macroscopica contraddizione legalizzata: se uno stato contempla l'omicidio come il crimine massimo che un uomo possa commettere e, contestualmente, usa la pena capitale come suo stesso deterrente, allora compie un crimine per punirne un altro. O si dovrebbe forse pensare che l'omicidio sia esecrabile solo quando non è commesso dallo Stato? No se non vogliamo iniziare a dare accezioni diverse al significato (che non ne ammette) di questo gesto estremo, ma si è indotti a ritenere che sia così, altrimenti sui governi ricadrebbe la responsabilità diretta del delitto. A cosa serve l'eliminazione fisica di un condannato? Nel 1763 Beccaria scriveva: "La pena di morte fa un’impressione che colla sua forza non supplisce alla pronta dimenticanza, naturale all’uomo anche nelle cose piú essenziali, ed accelerata dalle passioni. Regola generale: le passioni violenti sorprendono gli uomini, ma non per lungo tempo, e però sono atte a fare quelle rivoluzioni che di uomini comuni ne fanno o dei Persiani o dei Lacedemoni; ma in un libero e tranquillo governo le impressioni debbono essere piú frequenti che forti".E ancora: "Chi dicesse che la schiavitù perpetua è dolorosa quanto la morte, e perciò egualmente crudele, io risponderò che sommando tutti i momenti infelici della schiavitù lo sarà forse anche di piú, ma questi sono stesi sopra tutta la vita, e quella esercita tutta la sua forza in un momento; ed è questo il vantaggio della pena di schiavitù, che spaventa piú chi la vede che chi la soffre; perché il primo considera tutta la somma dei momenti infelici, ed il secondo è dall’infelicità del momento presente distratto dalla futura. Tutti i mali s’ingrandiscono nell’immaginazione, e chi soffre trova delle risorse e delle consolazioni non conosciute e non credute dagli spettatori, che sostituiscono la propria sensibilità all’animo incallito dell’infelice" (Dei delitti e delle pene). I fatti, a tutt'oggi, non lo smentiscono.
Non ci si può nemmeno consolare pensando che questo paradossale deterrente sia prerogativa delle sole zone del mondo generalmente considerate (politicamente, socialmente ed economicamente) retrograde, anzi: ne sono fiere sostenitrici le avanguardie che regolano il metronomo globale del nostro tempo - certo, con minoranze dissenzienti al proprio interno, purtroppo in alcun modo influenti. L'Europa, ad oggi, è l'unico continente - Antartide a parte - ad aver ripudiato in blocco la soppressione fisica del condannato, grazie anche all'influenza e alla sensibilizzazione di molti intellettuali nel corso dei secoli. Proprio gli Stati Uniti annoverano nel proprio patrimonio letterario gli scritti di uno dei fautori della non-violenza, il trascendentalista Thoreau, che scriveva: "ciò che debbo fare è accertarmi, in ogni caso, che non mi sto prestando al male da me condannato" (Disobbedienza civile, 1849).
In questo senso, e ritorno a bomba, la storia rende onore alla nostra nazione: già ai tempi dell'assolutismo illuminato, nel Granducato di Toscana venne soppressa la pena capitale, come recita l'epigrafe che campeggia nel cortile della Dogana diPalazzo Vecchio, a Firenze. Questo sì che è un vanto.
"Tagliare il deficit sacrificando la scuola è come se per alleggerire un aereo troppo pesante gli togliete il motore" Obama (da "la Repubblica" del 25/01/2011)
Aggiornamento del 02-02-2012: questo lungo articolo apparso su ilpost.it illustra più da vicino la vita in mare e i compiti specifici dei volontari del Sea Shepherd.
Ho sempre avuto una specie d'ammirazione istintiva per il Giappone e la sua cultura. Sarà per i cartoni animati alquanto metafisici. Sarà perché ha sempre dato l'idea d'un paese asiatico atipico, stravagante sotto alcuni aspetti, ma soprattutto capace dopo la Restaurazione Meiji della seconda metà del XIX sec. di emancipare davvero la propria società e tener testa alle politiche occidentali (in buona parte, per la verità, assumendone alcuni connotati). Insomma, ne è passato di tempo "dal 1638, quando i Giapponesi vietarono l'ingresso nel loro paese agli stranieri, ad eccezione degli olandesi, con cui avevano stretti rapporti commerciali, i quali venivano obbligati a profanare il crocifisso, come segno che non volevano propagare dottrine religiose" (Voltaire in una nota del "Candido").
Dei nipponici mi piacciono molte cose. Ma una è davvero odiosa.
Mi piace l'amore e il dialogo sincretico con le proprie tradizioni di ex paese rurale assurto a potenza mondiale. Trovo attraente la filosofia Zen racchiusa nell'Ensō: "un cerchio perennemente vuoto, perché sempre pronto a essere riempito"(Kengiro Azuma). Così come è mirabile l'approccio rispettoso e profondamente sensibile che hanno generalmente nei confronti della natura, il modo in cui ad essa si ispirano e ne emulano i meccanismi nell'arte. Basta guardare, per esempio, i quadri e le incisioni di Hiroshige Utagawa o Katsushika Hokusai.
Ma non sempre è così, purtroppo.
La cosa odiosa è che proprio questo popolo, che ha sviluppato e insegnato un tale rispetto verso tutte le creature viventi, si dedichi oggi alla mattanza di balene in alto mare per il contrabbando della carne. Intendiamoci, non che sia il solo a farlo, ma insomma... ecco, se lo fanno loro ci rimango male doppiamente!
La caccia alle balene in Giappone è consentita soltanto a scopo scientifico. Nondimeno, alla luce del materiale probatorio raccolto da molti gruppi ecologisti, l'Agenzia giapponese per la pesca ha dovuto ammettere le sue colpe e i suoi traffici illeciti.
Esiste un'associazione non-profit che va a caccia di chi va a caccia di balene. E che, a differenza di Greenpeace (e anzi in rotta - pare - con quest'ultima), è nata per usare le maniere forti con le centinaia di whalers nipponiche a caccia di cetacei nell'Oceano Antartico. Parlo della Sea Shepherd. Gli eco-pirati, come sono generalmente chiamati, sono volontari che navigano per mesi inseguendo le baleniere e filmando le loro attività illegali. Non solo: quando finalmente le scovano, le speronano direttamente, come si vede nel video in basso.
Sinceramente, in questa circostanza, mi sento di condividere tali mezzi.