venerdì 30 ottobre 2009

Superficialità e ignoranza nell’appartenenza politica estremista (da un articolo apparso su www.magozine.com)


Ho trent’anni, tutti vissuti a Roma. Dalle scuole medie fino alle superiori ho incontrato centinaia di ragazzi che amavano definirsi di questa o di quell’altra corrente politica: fascista, nazista, piuttosto che comunista o anarchica. Queste le più accreditate. Naturalmente, ne incontro ancora oggi di persone convinte e in taluni casi arciconvinte di appartenere proprio a quello schieramento preciso, tanto che a volte provo come un moto d’invidia per costoro.
Ma poi mi chiedo: quanti realmente sanno di cosa stanno parlando?
Per come la vedo io, prima di aderire parzialmente o totalmente a un'ideologia (cosa che per molti è già anacronistico di per sé, e meno male...) bisognerebbe conoscerne quantomeno la storia, le motivazioni che l'hanno portata al potere in un determinato periodo, i risultati tangibili per la collettività che ha ottenuto o scaturito, e soprattutto la collocazione e la compatibilità (se vi può essere) col nostro contesto sociopolitico.
Faccio un esempio ricorrente (almeno nella mia vita): centinaia di ragazzi amano definirsi di "destra" o fascisti. Alla base di questa scelta di campo vi è una decisione maturata tramite un ragionamento, filosofico e/o pragmatico, di comparazione delle realtà tra l’Italia del ventennio e quella odierna? Vi è la conoscenza oggettiva dell’azione e del pensiero di alcune figure di spicco quali Giovanni Gentile, Dino Grandi, o dello stesso Mussolini, e di cosa essi abbiano fatto a livello pratico in campo economico, giuridico, e sociale in quella penisola arretrata e sostanzialmente agraria? Vi è forse un puro discorso di identità nazionale da difendere, poiché si ritiene messa a repentaglio dalla ciclica immigrazione e, alla luce di ciò, ci si rifà a quel modello littorio tanto devoto alla causa tricolore e nazionalista (anche se in realtà nell’era fascista non vennero adottate contromisure per l’immigrazione tanto plausibili da potercisi oggi ispirare, perché esisteva il problema esattamente opposto, ossia quello dell’emigrazione)? O ci sono ragioni meramente modaiole, e quindi di una nemmeno troppo nascosta strumentalizzazione basata sulla sostanziale ignoranza, che si fa forte della naturale carica dirompente insita nella volontà di rivolta giovanile più o meno repressa contro un sistema oligarchico ritenuto palesemente imparziale?

Allo stesso modo, per la par condicio, coloro che si schierano a sinistra (corrente oltremodo vasta e con diverse accezioni per la verità) sanno effettivamente, per esempio, da cosa derivi il Socialismo e in quali paesi fu alla guida le prime (brevi) volte? O cosa dica il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, che è nientemeno del 1848? O quale fosse il ruolo e la posizione spesso scomoda del Pci nell’Italia dell’immediato dopoguerra prima e della guerra fredda poi? E chi si professa anarchico sa chi era Proudhon, o cosa scrivesse Bakunin o Malatesta o Cafiero?
Teoricamente bisognerebbe avere un’idea della storia delle ideologie, della loro evoluzione nel tempo e della loro attualizzazione, per non incorrere in un abbaglio. Ma ciò richiede tempo e volontà, ed ecco che la superficialità prende il sopravvento sotto forma di preconcetti, credenze popolari verosimili o, in alcuni casi parossistici, di violenza gratuita.
Ora non posso non essere sincero, per questo dico che a tante di quelle e ad altre domande non so dare ancora una risposta, e quindi penso di non potermi schierare totalmente con tizio piuttosto che con caio, né se ha o avrà senso farlo. Ma ciò non significa ch’io non abbia una mia coscienza politica più o meno definita, dettata da una logica che è la risultante di tre principi base: rispetto, non-violenza e pragmatismo.
Credo siano un’ottima base per poter costruire sopra tutto il resto.

giovedì 29 ottobre 2009

Sulla sensazione provocata in me da "Air Terminal Roma" di Stefano Fiore

 
 
Non c'è nulla da fare, diretto ed eloquente come un'immagine esiste ben poco. Soprattutto se ci vedi raffigurato ciò che di più recondito hai dentro. Una persona mentre vive si dimentica di ascoltarsi, di sondare la sua profondità, di vedersi. Fin quando dall'esterno non giunge un input, come successe al pirandelliano Vitangelo, detto Gengè.
In questo caso l'input è stato Air Terminal Roma, un'opera del mio amico Stefano. Nuvole fredde e cariche si addensano, mescolandosi con la luce calda del tramonto, su una città onirica e decadente che il titolo indica come Roma; ma, non so perché, le verticalità dei lampioni nell'oscurità avanzante, le torri in lontananza, i fumi evanescenti, mi danno l'impressione di contemplare i minareti di una metropoli orientale. Anzi, riesco ad essere più preciso: Istanbul. Perché Istanbul? La coincidenza (o l'enigma) di questo quadro, che in un istante ha estrapolato da chissà quale cono d'ombra della mia memoria una così avvolgente sensazione di sicurezza, sta proprio qui: ho avuto la fortuna di vagare per le strade di questa splendida ed evocativa città esattamente sotto la stessa luce che vive nell'opera; mi colpì moltissimo per il suo ossimoro caldo-freddo. La luce. Cristo, quanto influisce in me, e in ogni singola sua gradazione! Vederla riproposta qui, tale e quale, come se Stefano fosse stato a Istanbul con me, mi ha incantato.
Forse non è un tramonto quello. Ma il bagliore di un'esplosione, avvenuta chissà dove in lontananza. Dovrei oltrepassare lo Stargate che separa il mio reale dalla profondità della scena, ed entrarci dentro. Ma non sarebbe giusto. L'enigma si risolverebbe e perderebbe la sua attrattiva.
L'impressione di una città in rovina corona la visione: è la metafora della condizione umana del nostro tempo, esteriormente brillante. Internamente brillata. Air Terminal Roma somatizza sugli edifici della città la decadenza dell'umano moderno.
Ne sono attratto, di più non so. Come dicono i Bluvertigo "... mi piace tutto ciò che sembra decadenza".
Lo voglio veder penzolante da una parete a caso, ma che frequento spesso.