venerdì 28 maggio 2010

Questa non è la contessa di Castiglione


In rete ho visto spesso il dipinto di questa donna accostato al nome di Virginia Oldoini, nota alle cronache risorgimentali come la contessa di Castiglione. È un errore. In realtà si tratta di Madame "Barbe" Dmitrievna Mergassov Rimsky-Korsakova eternata nella sua bellezza dal pittore Franz Xaver Winterhalter; il quadro è esposto nel museo più bello che abbia visitato finora, il Musée d'Orsay di Parigi. Il mistake si è riproposto anche nell'ultima puntata stagionale (purtroppo!) de Le storie, noto e interessantissimo programma culturale di Raitre condotto da Corrado Augias.

La Rimsky-Korsakova detta, pare, la Venere Tatara, fu una contessa russa trasferitasi a Parigi in giovane età. Qui probabilmente conobbe l'altra contessa, quella di Castiglione, spedita da Cavour alla corte di Napoleone III per dissuaderlo a contribuire alla causa piemontese. A dispetto dell'importanza quasi decisiva che molti hanno dato e danno alla Oldoini e alla sua opera di plagio dell'Imperatore francese, il suo ruolo viene oggi fortemente ridimensionato dallo storico Adriano Varengo nel suo ultmo libro, Cavour.

lunedì 24 maggio 2010

Uno strano ambasciatore




Il gatto indugia stabile sulle zampette, poi guarda Vitangelo e miagola. È il segnale della sera. L'uomo sorride e ricambia con un cenno della testa. Immediatamente, il felino scivola lungo il cornicione e balza sul suo terrazzo; lui lo accarezza, sfilandogli l'ormai consueto messaggio dal vecchio collarino indaco:

Vitangelo, non smetterò mai di ringraziarla per quello che fa. Avrei bisogno solamente di una rosetta, due mele e una saponetta. Grazie infinite! Alda.

L'uomo prende un lungo respiro, lascia il grazioso messaggero bianco a gironzolare per il terrazzo ed entra in casa. Assorto, si dirige verso il piccolo disimpegno e s'infila le scarpe. Prima di varcare l'uscio della porta chiama Paola:
«Amore, fai mangiare qualcosa al micio lì fuori, per favore».
Non ha ancora finito di parlare e già si ritrova nell'angusto ascensore; il supermarket è giusto sotto casa, ma alle sette passate teme di non trovar più quel poco che la professoressa Alda desidera.
Non ci sono chissà quante persone in fila all'unica cassa aperta, mentre Vitangelo imbusta l'ultima mela. Gli è andata di lusso per oggi, tanto che sente i muscoli del viso rilassarsi. Non si è attenuto, ovviamente, a quella striminzita lista; ha provato a usare l'immaginazione: cos'altro potrebbe servire a un'anziana e sola signora che si muove a stento? Così, pensa che ti ripensa, la busta s'è fatta bella pesante.
Esce con il passo lento e i suoi pensieri sprofondano nell'aria malinconica della sera, che da qualche anno gli è divenuta lieta; e poco importa se la professoressa Alda abita al sesto piano di un palazzo senza ascensore perché, almeno, arrivare fin lassù lascia il tempo a un pinco pallino qualunque, che lavora di braccia dalle otto alle quattro, una graditissima fetta di tempo per riflettere. Infatti gli ci vuole poco, tra una rampa di scale e l’altra, per tornare con la mente al bizzarro inizio di tutta quella storia, alle parole scritte sul primo bigliettino appioppatogli per caso da quel micio bianco che, gironzolando per i tetti, l'aveva puntato:

Salve o tu che leggi! Vengo da parte di una persona curiosa di sapere cosa succede al di là delle sue mura. Da tempo, questa persona, è impossibilitata a muoversi. Non ha televisore, e ciò prova che non tutto gli va male. Solo molti libri. Dunque, che mi dici del mondo, gentile sconosciuto?

Un inizio stravagante, sì, ma in fondo così sincero da non lasciare indifferente quel pinco pallino. Seguì un tempo relativamente breve in cui, sempre tramite il curioso ambasciatore, vi fu uno scambio per così dire epistolare, a un certo punto del quale Vitangelo capì che doveva agire di più e scrivere di meno. E intese ciò ancora meglio quando, una sera, conobbe finalmente di persona la professoressa Alda e tutti i suoi libri, che in quella piccola casetta sembravano aver figliato. Lui, che in vita sua ne avrà letti sì e no tre, di libri, uno dei quali nemmeno per intero. Da allora, tra conversazioni dal sapore filosofico e classici letti e riletti sotto le pazienti e benevole indicazioni dell'anziana professoressa, il mondo, da piccolo e ripetitivo, per Vitangelo iniziò ad allargarsi smisuratamente. Se ne era perse di cose belle, pensava sempre più spesso. Ora, era ormai tardi?

Ed eccolo infine, trafelato e con quell'abnorme punto interrogativo davanti alla porta della signora Alda. Suona il campanello e dopo qualche minuto, tra un sorriso sdentato e un abbraccio della donna, entra in casa.

«Dio mio Vitangelo, quante cose hai preso! Ma da dove sei caduto figlio mio! Se non ci fossi tu io... io... ».
«No, no! Adesso non pianga eh! Per favore non pianga professoressa. Se lo ricorda? Il nostro è un patto: se lei è malata non c'è problema, può chiamarmi quando vuole. Invece io ho una grave... ehm... mancanza culturale, che è come avere una malattia. Quindi, per me venire qui è come una terapia! Com'era? Ah! Do ut des! Una domanda: ora che il telefono le funziona di nuovo, perché non mi ha chiamato sul cellulare? Forse non vede bene il numero che le ho scritto?».
«Hai ragione! Lo so che è più pratico. Il fatto è che trovo così poetico affidare i miei messaggi a Bastet che...».
«Ah! Ecco come si chiamava! Bastet! Beh, non si offenderà mica se la chiamo micia...».
«Certo che sì! È permalosa come una dea! Ma dimmi un po', come sta tua figlia?».
«Paola? Oh, molto meglio. Sa... mi sembra che si stia riprendendo. Dopo la separazione, come gli dicevo l'altra volta... ».
«Le dicevo! Che sono diventata un uomo? ».
«Ah, giusto... come le dicevo l'altra volta, non voleva sapere più nulla della madre. Invece, ieri, si sono sentite per telefono. Incrociamo le dita, professoressa! ».
«Povera ragazza! Mi dicevi che cerca di non farti mancar nulla. Dev'essere dolcissimo vederla prodigarsi per te».
«Sì... ma volte non è il massimo vedere come nasconde il dolore…».
«Sai... non pensare che voglia approfittare della tua bontà, ma vorrei tanto conoscerla, tua figlia».
«È buffo! Non gli ho ancora parlato di lei... ».
«Le! ».
«Uff... mi dà uno schiaffo? ».
«E perché?».
«Così me lo ricordo!».
«Sei troppo alto! Continua…».
«Dicevo che non le ho detto niente di lei... voglio dire... Paola mi vede leggere, uscire all'improvviso la sera, eppure non dice nulla. Chissà perché... ».
«Non è che ti imbarazza dirglielo?».
«Mah... solo non vorrei che mi reputasse uno stupido. Sa... sapere perché ho cominciato a mettermi davanti un libro alla mia età, quando non mi ci aveva mai visto. Sciocchezze del genere insomma. Chissà cosa penserebbe?».
«Scherzi? Ne sarebbe entusiasta!».
«Dice? Beh, proverò a parlargl… parlarle. Ah! professoressa, come mi vede da fuori? Nel senso... cosa pensa del me che si vede dall'esterno?».
«Noto con piacere che stai ancora leggendo Pirandello! Ti piace, eh?».
«Destabilizzante! È così che si dice, no? Il tipo della storia ha anche lo stesso nome mio, e chi se lo immaginava! Pensavo di essere l'unico con questo nomaccio! Bene professoressa, scappo, che conoscendo Paola starà sicuramente preparando la cena».
«Va bene Vitangelo. Eccoti i soldi della spesa...».
«Non esiste professoressa. Scappo. Davvero. Buonasera e ci vediamo presto».
«Aspetta, aspetta! Che io non posso mica correrti dietro! Prendili su!».
«Infatti non deve corrermi dietro... Ah! Al volo... è riuscita a sentire suo figlio? Ho provato in questi giorni a chiamarlo, ma il suo cellulare è sempre irraggiungibile».
Alda ondeggia il capo da sinistra a destra e abbassa gli occhi amareggiata. Vitangelo se ne torna piano piano verso casa. Serio. Seduto a tavola, dice a se stesso "Ma sì, perché no?". Poi abbassa il volume della tv:
«Sai Paola, hai presente il micio bianco qui fuori...».



giovedì 20 maggio 2010

Ode al foglio bianco



Su un triclinio fatiscente
adagiato  
danza al ritmo
dei sospiri dell'aria.

Il bianco s'infuoca
al dialogar col sole
che balzando dalla finestra,
riscalda le ispirazioni.

Amico mio,
sei per me la più viva
tra le cose inerti;
placenta delle mie idee;

esile ponticello tra vette solitarie.
Possa tu
raccontar di me
ciò che la mia bocca non osa.

Mi riprometto
nelle azioni
di somigliarti.
Come per tradizione zen

il cerchio:
perennemente vuoto,
perché sempre pronto
a esser riempito.

sabato 8 maggio 2010

La Fantasia


Il concetto di fantasia è molto meno oggettivo di quel che si possa pensare. Anzi, direi che è decisamente soggettivo. E non intendo dire che varia da persona a persona, perché questo è quasi ovvio, ma che ogni ambito tende a svilupparne uno proprio.
Ad esempio, ho sentito il Prof. Paolo Legrenzi, ospite a "Le storie", dire:
"La fantasia è la capacità di costruire un mondo diverso da quello in cui siamo in questo momento, un mondo immaginario. Esso non è totalmente scollegato dal mondo reale: attraverso dei vincoli, delle leggi, dei meccanismi, noi possiamo trasformarne quelli che sono gli oggetti. Anche se non con una totale libertà. Il più antico reperto che abbiamo della civiltà umana, di 39 mila anni fa, è una statuetta di un uomo con una testa di leone"


Questa è la definizione di un dottore, uno studioso. Che non è un fruitore di fantasia (almeno non per lavoro): ne studia i meccanismi. Sotto invece, c'è l'idea di uno dei più grandi artisti e designer del XX secolo, Bruno Munari, presente anche nel suo illuminante "Fantasia" (1977):
"La fantasia permette di pensare a qualcosa che prima non c'era, senza nessun limite. Nel senso che posso anche pensare a delle cose non realizzabili praticamente. Essa opera nella memoria facendo delle relazioni tra quello che uno ha imparato e conosciuto. Per esempio il famoso drago che viene colpito da San Giorgio è un animale fantastico. Oppure, se io conosco l'elasticità della gomma e la trasparenza del vetro, posso, mettendole insieme, immaginare un vetro elastico o una gomma trasparente"


Le due definizioni sono simili, anche per gli esempi citati. Però, se Legrenzi non riconosce una totale libertà agli automatismi della fantasia, Munari specifica subito che essa è senza limiti. Il nostro cervello funziona per associazione di idee, ed ergo, una mente creativa, più cose conosce più è potenzialmente in grado di collegarne. Ora, se lo psicologo per "non totale libertà" intende che la fantasia è direttamente proporzionale ai dati a disposizione della memoria, l'artista entra nello specifico di questo scenario finito per sottolineare che le combinazioni possibili tra le cose conosciute sono potenzialmente "senza limiti" e non tutte "realizzabili praticamente". Messe così, le due affermazioni non sono opposte, ma in un certo senso consequenziali. Se invece lo psicologo si riferisce al fatto che, in generale, la creatività del pensiero trae comunque linfa dalle cose terrene, e per questo non è totalmente libera, l'artista, al contrario, intende che è con gli elementi acquisiti in questa realtà che una mente creativa è libera, perché è questo lo spazio in cui vive, pensa e si esprime.

Molto interessante è anche il discorso sulla fantasia attiva e quella passiva. Il Prof. Legrenzi, nella puntata che ho linkato sopra, dice che leggere provoca in noi la produzione di immagini e quindi stimola la fantasia attivamente, perché il testo non può andare comunque oltre la descrizione. Un film, invece, essendo di per sé una sequenza di immagini, è molto meno efficace in tal senso e la sua azione provoca passivamente la nostra fantasia. Sarà per questo che il 90% dei film tratti da libri deludono in larga parte coloro che la storia l'hanno prima letta? Di certo a quel punto diventa difficile far convergere l'immaginazione del regista con la nostra.

Ultimo quesito. Se l'immaginazione è, come dice Munari stesso, la capacità di proiettare nella propria mente l'immagine di una fantasia, endogena o esogena che sia, un libro stimola la fantasia attiva o l'immaginazione attiva?



P.s. Munari ti adoro.