domenica 28 febbraio 2010

Piccola recensione di "Conversazioni con un gargoyle"



L'opera prima dell'autore romano Marcello Nardo Lesniewski è una breve raccolta di dieci racconti molto interessanti. Al suo interno, spiccano titoli come "Breve storia di un viandante notturno", "Tarda sera a Nizza", "Il bambino che diventò mio padre". I racconti riflettono la molteplicità degli interessi e delle ispirazioni dell'autore e ci portano in luoghi sempre a metà tra il sogno e la realtà. Ci portano in una Barcellona solitaria, in una Nizza onirica, in una Roma notturna e nascosta, in un sud Italia ricordato con nostalgia, in una Varsavia combattiva e tragica, a Cracovia. Ma soprattutto ci conducono nel mondo dell'autore, che ci si rivela poco a poco e che, nei momenti migliori, arriva a coincidere con quello del lettore, in una terrena corrispondenza d'idee.

Conversazioni con un Gargoyle, edito da Il Rovescio editore, è un libro che tenta di narrare, sotto molteplici punti di vista e sotto molteplici cieli, lo scotto che il soggetto deve pagare nel confronto con la realtà. L'autore ci porta avanti e indietro nella storia, indagando con semplicità e con erudizione il peso che la storia stessa lascia sulle spalle degli uomini, in un secolo, quello passato, dalle mille contraddizioni.

E su questo, il Gargoyle darà le sue risposte.


Emiliano Sabadello

lunedì 22 febbraio 2010

Le mani sulla città



Partiamo dalla fine:

I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari,
è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce.

Tale è il messaggio in calce a questo interessantissimo film-documentario. Sarò disinformato, ma non mi risulta di averlo visto in tv, né penso che l'abbiano passato recentemente; eppure è del 1963. In tal senso, capisco Nanni Moretti quando in una sequenza di Ecce Bombo grida a un qualunquista: "Te lo meriti Alberto Sordi!"; la volontà politica trasversale, senza bandiere e senza tempo, di non trasmettere film denuncia come questo viene tristemente a galla. L'ho scoperto grazie a un breve stralcio mandato in onda nella trasmissione di Augias, "Le Storie" (Raitre).

Ad ogni modo, se vi interessa conoscere le origini della speculazione edilizia nel nostro paese, sedetevi e guardate attentamente questa pellicola, interpretata tra l'altro con un realismo magistrale da attori per lo più sconoscuti alle cronache, Salvo Randone e Rod Steiger a parte. Se non fosse per il bianco e nero e l'atmosfera retrò (che adoro), sembrerebbe quasi di trovarsi di fronte a un'incursione de le Iene con le telecamerine nascoste all'interno di un qualsiasi consiglio comunale, tanta è la passione e l'immedesimazione del cast per tutta la durata del film.

La trama rispecchia una storia che si è ripetuta e si ripete così tante volte nelle stanze segrete dei palazzi governativi, da saturare le periferie delle città in modo disordinato e selvaggio di costruzioni fuori norma, antiestetiche, incomplete, carenti di servizi, prive di strade decenti o mezzi adeguati alla densità abitativa che le colleghino al resto del tessuto urbano. Frutto di favori tra gruppi di potere; non ultimo l'attualissimo affaire degli appalti per il G8 del 2009, dei Mondiali di Nuoto '09, e del Centocinquantenario della Repubblica.

Si narrano, in questo film, le ambizioni e le vicissitudini di un costruttore di Napoli, tale Nottola (Rod Steiger), il quale è contemporaneamente consigliere comunale. Egli intende edificare, tramite affidamento clientelare di appalti, fuori dalle zone previste dal piano regolatore e precisamente in quelle considerate agricole, per comperare a basso prezzo e rivendere con un maggior guadagno. Lo Stato intanto stanzia 300 miliardi per il suddetto piano, e Nottola scatena la sua furia costruttiva/distruttiva. Si arriva però all'inevitabile incidente, che metterà in crisi gli interessi di costruttore ed epigoni vari. Inizia così la sua lotta, appoggiata tacitamente da vari assessori, per rimanere a galla contro una Commissione d'Inchiesta, fortemente voluta dall'ingegner De Vita (del quale non dirò lo schieramento politico), incaricata di mettere le mani nel torbido.
Naturalmente vi risparmio il finale, anche se per intuirlo basta tener presente che oggi godiamo i "frutti" di quel tipo di malapolitica.

Curiosità: nel film viene pronunciata l'espressione mani pulite. Da qui, probabilmente, il nome del maxi processo dei primi anni novanta, più noto come Tangentopoli.

venerdì 19 febbraio 2010

"Tra le nuvole" e dintorni



Ho visto questo film l'altra sera. Non vincerà nessun Oscar e non rappresenta uno spartiacque nella storia della celluloide; gli attori che vi partecipano non hanno brillato per espressività e non sembrano essersi sbattuti più di tanto col metodo Stanislavskij; la trama si snoda in effetti senza particolari colpi di scena (forse ce n'è uno), e i tempi sono spesso lenti. Tutto ciò rappresenta un'ottima base per produrre una cantonata di film. Oppure per riprodurre la realtà, nuda e cruda. E "Tra le nuvole" coplisce in tal senso; il suo obiettivo è far riflettere senza tanti fronzoli su una verità del nostro tempo: la crisi. Economica e umana.
Se quella economica è narrata dal punto di vista dell'azienda che si trova a dover tagliare il personale, quella umana è vissuta in prima persona dal protagonista, un Clooney decaffeinato ma ispirato.

Egli è il terminale della politica dei tagli operati dai manager di un'azienda, un addetto al congedo di un numero sempre maggiore di dipendenti in varie filiali sparse sul suolo statunitense, e in questa arte sembra inizialmente vantarsi d'aver raggiunto una certa abilità; non ha residenza, vive sugli aerei in cui viaggia e negli hotel pagati con le innumerevoli carte di credito che la sua posizione privilegiata gli permette. Tutto ciò che gli serve giace nella capienza di un trolley. Sentimenti e vita sociale compresi.

L'estremo cinismo e la vomitevole ipocrisia con le quali le grosse aziende presentano indistintamente il benservito a chi per anni  ha dedicato loro la propria opera - arrivando paradossalmente a vendere il licenziamento (profumandolo ed impacchettandolo come una qualsiasi merce) al licenziato - rendono bene l'idea della lontananza estrema che intercorre tra esigenze di mercato e realtà umana.
Ma ogni dramma globale è prima di tutto un diffuso malessere individuale; Ryan/Clooney pensa bene di coniugare vita e lavoro, sebbene quest'ultimo sia costellato di continui spostamenti. Evita ogni coinvolgimento con altre persone che vada oltre la fugacità e, nel caso femminile, della botta e via, arrivando a crederci così tanto da filosofeggiare sui benefici del suo stile di vita inteso come vera e propria impostazione di pensiero, per elevare infine lo stendardo della sua libertà assoluta sulle povere teste di coloro che, invece, cercano ancora stupidamente tranquillità e appagamento in un rapporto stabile.

Simili principi, caratteristici della nostra realtà, sono il risultato di un adattamento; sono stati cioè indotti dallo sconfinamento della cultura economica neoliberista nei rapporti sociali, contaminazione, questa, deleteria per la crescita spirituale dell'individuo. È come se la logica del profitto contagiasse ormai la sfera dei rapporti interpersonali e, non ultima, una certa idea dell'amore. Del resto, non è forse il relativismo la chiave di lettura del nostro tempo? Non è forse sulla fruizione di piaceri frivoli e bisogni preconfezionati che le aziende insistono, attraverso molteplici mezzi divulgativi? Non esiste forse un latente messaggio che esorta a coltivare e rinforzare uno spesso strato di egoismo e che spinge a provare sfiducia preventiva in ogni rapporto anche solo percepito come limitante per la propria libertà? Questi cortocircuiti, nella vita pratica, inducono proditoriamente a credere che il gioco non valga la candela, ossia che tentare un atto di fiducia nei confronti di un'altra persona sia tendenzialmente sbagliato più che tendenzialmente giusto. Per questo, i termini in cui ragiona Ryan/Clooney sono tanto comprensibili quanto attualissimi. E innegabilmente indotti, non spontanei. Per tornare a bomba, la lentezza latente del film non è solo giustificata, ma azzeccatissima, perché richiama direttamente l'alienazione dei soggetti che intende descrivere. 
Kant asseriva che ognuno sente naturalmente il bene e il male. Ed è forse per questo che, alla fine, le unioni, siano esse ufficiali o di fatto, anche in diminuzione, sono ancora largamente diffuse.

sabato 13 febbraio 2010

Le interviste di Gaetano er Frascataro



Bene ragazzi, eccoci qui per "Ehmm... TV"! Ci troviamo in un angolino del Vomito Ergo Sum, in pieno clima pre concerto! L'atmosfera è caldissima! Di fianco a me c'è Organ, ex cantante dei BluvEnrico per una breve chiacchierata:

Gaetano: «Allora Organ! Fuori c'è il pienone! Sei teso?»

Organ: «Questi sono i momenti in cui mi pento di comporre testi troppo pregni. Ora come ora, non mi ricordo un cazzo! Forse una canzone... perché è da stamattina che la canticchio; ma non è nostra»

«Hai delle tecniche di preparazione per questo tipo di concerti, così lunghi e impegnativi?»

«Mah! Guarda... solitamente con la band ci chiudiamo nel camper e ci rilassiamo con una violenta rissa. Quello che rimane in piedi dà le direttive. Il fatto è che di solito in piedi non rimane nemmeno il camper, per questo spesso insceniamo un'incursione di Rèmi Gaillard in pieno concerto! Alla gente piace! Una volta abbiamo suonato solo l'inizio di "Bit-Less. Storia di una multa sul tram", poi ci siamo fermati e abbiamo fatto cantare il pubblico. Fino alla fine. Siamo rientrati solo negli ultimi cinque secondi del finale! Praticamente hanno pagato per sentirsi cantare!»

«Ehmm... dicevamo, scrivi tu i testi delle canzoni?»

«Si, ma non direttamente»

«... in che senso?»

«Me li ispira il mio avatar»

«Ah! E come funziona?»

«Con i proventi dell'ultimo disco sono andato in Texas, ad Abilene, e ho comprato un specie di camera iperbarica; Beh è semplice! Una volta dentro mi applico degli elettrodi sulle chiappe, poi ripeto all'infinito "Pensavo fosse amore, invece era una catalessi", finché non cado, appunto, in stato d'ipnosi, e affido la mia materia grigia a un avatar»

«E chi sarebbe?»

«L'omino di Grand Theft Auto! Andando in giro per Vice City è tutto più facile! Prima me la spasso un po' rubando macchine, ammazzando pedoni e facendomi inseguire da legioni di poliziotti. Poi, una volta seminati, cerco il mio spacciatore di fiducia e gli ordino il menù»

«...cioè?»

«Una piramide di container pieni di marijuana, un giardino inglese di funghi allucinogeni e un appartamento con un armadio, pieno di cocaina. L'appartamento, ovviamente. Così scrivo assecondando questo tipo di sensazioni»

«Certo che le sorprese con te non finiscono mai!»

«Lo dici a me?! Una volta dentro Grand Theft Auto ho incrociato Bin Laden! Mi ha detto che la Cia lo ha nascosto lì, poi svia cercandolo tra le montagne afghane!»

«Beh! Lasciatelo dire, hai un metodo alquanto bizzarro per cercare l'ispirazione!»

«In effetti sì. Ma se consideri che vengo da un luogo in cui la chiesa cattolica ha rifiutato il funerale religioso a Welby per la storia dell'eutanasia, mentre annoverava già tra le sue illustri sepolture in Sant'Apollinare uno dei boss della banda della magliana...»

«Così si arriva ad amare i paradossi...»

«Direi! Del resto anche fuori è così! A Parigi il ponte più vecchio si chiama Ponte Nuovo!»

«Chiarissimo! E' stato un piacere Organ!»

«Ah! Ma non ti credo...»

«Ma si!»

«Dai sbottonati, siamo tra giôvani!»

«Dico sul serio!»

«Peggio per te».


A microfoni spenti Organ aggiunge: Grazie eh! Non riempio da tempo le bottiglie vuote che ho conservato.