mercoledì 21 aprile 2010

Spirali



Giornata normalissima, fin quando in auto il mio pigro cervello non ricompone i pezzi. Nel corso della mattinata ho avuto modo di apprendere due notizie che, accostate l'una all'altra in un lasso di tempo relativamente breve, mi hanno gettato in pasto a una vertigine.
Una signora sulla cinquantina inoltrata mi porge felice e sorridente il suo cellulare, in cui vi sono alcune foto di un bambolotto rubicondo: è il suo nipotino nato da pochi giorni. Nemmeno due ore dopo vengo a sapere di un mio coetaneo. Uno di quei ragazzi a posto; di quelli coi quali una birra serale al pub può far solo piacere. La sua compagna ha dato alla luce un bambino con gravi malformazioni cardiache ed encefaliche.
Al di là del forte stridere delle due situazioni, non so perché non abbia subito associato il ragazzo alla neo nonna. L'ho fatto solo dopo qualche ora. Chissà quante altre volte connessioni del genere mi sono letteralmente sfuggite. Superficialità? Vade retro!
Spesso la vita mi ha dato prova che un solo cervello, funzionante o meno che sia, non mi basta per comprenderla in parallelo, in tempo reale; eppure dovrebbe essere questa la sua prerogativa principale. Del resto, se dobbiamo citare Leibniz e dire che questo è il migliore dei mondi possibili, che Dio ha operato e opera al meglio delle sue possibilità, allora io questo cervello ce lo devo avere, perché serve. Anche se non sempre a me.
Eppure, maledizione, l'universo si mostra a ogni persona in modo direttamente proporzionale alla realtà che vive e alla sensibilità di cui è dotata, e quindi sempre e comunque parzialmente. Non solo: la sua comprensione da parte nostra deve necessariamente passare attraverso il rullo dei bisogni.

Bisogna riconoscerlo: non siamo stati dotati di un gran binocolo per guardarci intorno.

venerdì 16 aprile 2010

"Conversazioni con un gargoyle": nota dell'autore.


Cosa significa conversare con un gargoyle? Il gargoyle è una scultura apotropaica di pietra raffigurante sia personaggi antropomorfi che (più spesso) zoomorfi, ed è la parte finale del sistema di fuga delle acque piovane nelle antiche chiese gotiche. In tal senso, per conversare con un gargoyle s'intende metaforicamente il dialogare con qualcuno dalla cui bocca fuoriesca purezza - come l'acqua, appunto.

Quasi tutti i racconti prendono spunto da viaggi e sensazioni provate in varie parti d'Europa; il principio è stato quello di coniugare aneddoti, leggende e storie dei luoghi più disparati con la fantasia e l'immaginazione, in un spirale ispirativa eterogenea e sincretica. Tarda sera a Nizza, per esempio, nacque da una passeggiata serale con Kasia, mia moglie, lungo Promenade des Anglais, il lungomare nizzardo. Camminando, mi accorsi del singolare contrasto tra la costa - fortemente illuminata dai lampioni e dagli sfavillanti interni di boutiques e ristoranti - e il buio totale contrapposto dal mare: era come se quest'ultimo si rifiutasse di partecipare a quello spettacolo, perché artificiale. Breve storia di un viandante notturno è invece un episodio storico-metafisico ambientato a Barcellona, scaturito da una surreale uscita notturna nella città catalana.
In Tra uomini e leoni ho cercato di ricreare il clima di estrema tensione della Polonia dei primi anni '80 - quella sotto la legge marziale proclamata da Jaruzelski - e di mettere in luce gli atti eroici di una figura storica polacca di quegl'anni, Jerzy Popiełuszko, da noi praticamente sconosciuto. Teorie di un clochard disperse nell'universo-metropoli nasce dal mio interesse per tutte quelle "esternazioni" scritte dagli homeless facilmente rintracciabili sui muri delle grandi città: in questo caso propongo un j'accuse rivolto alla matematica articolato in modo inusuale, scovato anni fa gironzolando per Roma. Infine, Riflessioni decontestuali immaginarie di un soldato italiano... - il più breve episodio del libro - prende spunto da "Il porto sepolto" di Ungaretti, celebre raccolta di poesie molte delle quali composte in trincea.

Tecnicamente i racconti sembrano essere indipendenti l'uno dall'altro - e lo sono per argomento - ma condividono alcune caratteristiche. In nessuno di essi si fa cenno al tempo, se non in modo aleatorio: credo che il mondo industrializzato, a causa anche dell'avanzare inesorabile della tecnologia e della medicina, dia a volte l'impressione di subire profondamente lo scorrere del tempo. In definitiva, è come se si stia troppo bene per dover morire così presto. Questa è una gabbia mentale, nemmeno troppo dorata. La vita in tempo reale è più veloce, ma la sua totalità aspira a durare di più.
Protagonista di ogni storia è l'uomo moderno alle prese coi paradossi del suo tempo - che sembra aver assimilato, ma ai quali si dimostra spesso insofferente. Lo stesso che, attraverso le scoperte degli ultimi due secoli, ha concentrato nelle proprie mani il potere di danneggiare fortemente o di distruggere le peculiarità del suo habitat e di quello altrui, sostituendosi al divino nel suo antico immaginario.

Ma il cardine di questi racconti è senza dubbio la decadenza, intesa come segmento di tempo che si colloca subito prima della fine di un ciclo, in cui tutto sembra essere permesso e al tempo stesso relativo. È proprio da scenari, sia reali che onirici, in tal senso decadenti che vengono i personaggi di questo libro. E ognuno di essi cercherà, destabilizzato, il proprio sentiero, guidato dalla lucida consapevolezza dei suoi limiti.
Un ultimo ringraziamento va a Stefano Fiore (Misterpaint) per il concept di copertina e per l'entusiasmo contagioso.

martedì 6 aprile 2010

Notre-Dame de Paris, l'idealizzazione e la verticalità



Notre-Dame de Paris è senza dubbio la cattedrale più stupefacente che io abbia visitato finora. Ha fatto si che si aprissero in me una o due nuove finestre, che non hanno di chissà quanto allargato la visuale, ma l'hanno resa senza dubbio più qualitativa. Nella vita mi si è più volte riproposta l'artificialità di ogni teoria che non sia empirica: leggere, studiare, immaginare sono tutti verbi transitivi le cui teste vengono spesso mozzate da quel Comitato di Salute Pubblica formato dal vedere, dal toccare, dal vivere. Ciò per dire che una cosa alla lunga deleteria per l'uomo è l'idealizzazione, che resta comunque una delle chiavi per apprezzare il bello. Questo concetto potrebbe ai più sembrare ovvio, banale, ma farlo diventare parte strutturale della formazione del pensiero, cioè assimilarlo davvero, mi è sempre risultato difficile.
È successo però qualcosa di inaspettato: posso tranquillamente dire che nel caso di Notre-Dame nessuna idealizzazione si carica maggiormente di fantasie del visitarla realmente. Ecco cosa mi ha stupito davvero! Per la prima volta l'idealizzazione di un'opera è coincisa col viverla! Succede, ad occhio e croce, solo nell'innamoramento! L'imponenza, la luminosità cangiante che entra dalle magnifiche vetrate, quell'essere soverchiati e, contestualmente, l'apparente fragilità delle architetture inducono l'umano/lillipuziano a rifletter sulla sua nullità materiale. E a farlo come dal ventre di un gigantesco insetto. Dentro Notre-Dame ci si sente un po' come quei filosofi che Voltaire fa parlare col gigante Micromega, il curioso abitante di Sirio alto 36 kilometri!

La metafisica dell'altitudine, altro spunto di riflessione che mi ha fornito questo geniale pachiderma: l'architettura gotica a differenza di altre, quali per esempio quella romanica o quella barocca, permetteva di sviluppare navate altissime, oltre i 30 metri. Questo, mi pare d'aver capito, grazie a un sistema di strutture esterne che hanno il compito di scaricare il peso lateralmente e a una moltitudine di "nervature" tubolari interne, che si possono facilmente notare in una qualsiasi chiesa in tal stile costruita. Alla luce di questo, tutto si svulippa in una spettacolare verticalità! Ed è questo il concetto che mi affascina: la verticalità. Essa simboleggia la vitalità, lo stare in piedi, il protendersi verso qualcosa che è sopra e di cui intuiamo l'importanza e la necessità, così come la testa è posta in cima al corpo. Un allentamento progressivo delle catene della gravità. Infine, verticalità in antitesi con orizzontalità: ciò che è privo di vita giace orizzontale.

Ma il paradosso mi perseguita anche qui: come può essere attratto dalla verticalità uno che soffre di vertigini? Ho fatto uno sforzo. Sono salito in cima alla cattedrale, da dove Chimères e gli altri gargoyle contemplano Parigi da quasi 850 anni. Ho camminato lungo gli stretti ed ariosi passetti evitando di guardare più in basso del mio naso, spingendomi fin su la torre campanaria in cui Quasimodo saltellava leggiadro a più di trenta metri! È un grosso passo avanti per uno che di solito ha giramenti di testa se si affaccia dal secondo piano.

Certo è che se la stretta connessione tra vertigini e verticalità si chiama vitalità, allora mi tengo questo paradosso tutta la vita.