martedì 29 dicembre 2009

La decima vittima


Non conoscevo questo film del 1965; devo ringraziare un amico: dziękuję Alessandro. Ho letto che la trama, molto particolare, riprende un racconto di Robert Sheckley, "La Settima Vittima".
In un futuro non meglio specificato viene istituita una sorta di caccia permanente a carattere mondiale per gente affetta da rigurgiti di violenza, un modo eccentrico per dar sfogo agli isitinti omicidi che alcuni uomini provano, per vari motivi, nei confronti di esponenti della sua specie. La trovata sta nel fatto che è tutto assolutamente autorizzato dagli organismi statali, tanto che vi sono enti come il "Ministero per la Grande Caccia" che, tra le altre cose, gestisce i tesseramenti. Ogni iscritto deve sottostare a pochi ma categorici regolamenti, cito il film:
1) Bisogna impegnarsi a compiere 10 cacce, 5 da cacciatore e 5 da vittima, alternativamente. Accoppiati di volta in volta dal selezionatore elettronico di Ginevra.
2) Il cacciatore sa tutto della sua vittima: nome, indirizzo, abitudini.
3) La vittima non sa chi è il suo cacciatore, deve individuarlo e sopprimerlo.
4) Il vincitore di ogni singola caccia ha diritto ad un premio. Colui il quale raggiungerà vivo il traguardo delle 10 cacce, sarà proclamato Decathon e riceverà onori e 1 milione di dollari.
Guai ad uccidere per errore un non-tesserato: si dovrebbe rispondere di omicidio volontario. Il principio di questo "gioco" è semplice: attraverso la legalizzazione e la regolamentazione della violenza viene data l'opportunità di risolvere questioni personali e, perché no, mondiali, solo e soltanto all'interno della Grande Caccia. Il fine supremo è quello di evitare ogni tipo di guerre; tant'è che, a tal proposito, un tizio nel film dice che se Hitler avesse partecipato alla Grande Caccia si sarebbe evitata la seconda disastrosa guerra mondiale!
Il mio scopo, però, non è quello di illustrare interamente la trama, basta solo questo antefatto.
Ciò che più colpisce del film è la capacità di vaticinare, già dal '65, il tempo che viviamo adesso: la spettacolarizzazione della morte (o dei guai personali), l'egemonia degli sponsor, la pubblicità e gl'indici di gradimento, il ruolo primario e deleterio della televisione, perfino i reality! Ma non solo; anche il disgregamento della famiglia e l'emancipazione della figura femminile. Non a caso lavorarono alla sceneggiatura intellettuali e filosofi come Flaiano, Petri (che ne è anche il regista), e Tonino Guerra.

L'eco del boom economico, che accompagnò l'Italia dagli ultimi anni '50 ai primi anni '60, si sente tutto in questa pellicola; sia negli aspetti intrinsecamente positivi, che nelle eterne controindicazioni. La guerra del Vietnam era in pieno corso, con tutte lo sciame di contestazioni che sfoceranno nel '68; da pochi anni era finita anche la disastrosa, per la Francia, guerra d'Algeria, concausa nel '58 della caduta della Quarta Repubblica transalpina. Tuttavia il nostro paese dava l'idea di essere un'isola felice: cresceva il potere d'acquisto delle famiglie, gli elettodomestici facevano il loro ingresso nelle case dei ceti medio-bassi, alimentando una ventata di fiducia nel commercio e nelle vie che apriva agli individui.
Gli sceneggiatori sembrano irridere anche la legge Merlin da poco promulgata (1958) che chiudeva le Case di tolleranza, facendo entrare il protagonista Poletti (un ossigenato Mastroianni, efficacemente enigmatico) in una "Casa di Relax", o giù di lì, per riflettere in pace sulle prossime mosse senza esser pedinato dal suo assassino. Evidentemente Petri ipotizzava una (sensata?) riapertura delle case chiuse in un futuro quasi prossimo: forse l'unica previsione errata, ma per eccesso di ottimismo.
Di previsione azzeccatissima si può invece parlare a proposito della lettura del futuro ruolo della donna. Nel '65, in Italia, la donna svolgeva ancora pressoché il ruolo di casalinga/madre; tuttavia, l'emancipazione femminile dopo l'uscita del famoso libro di Betty Friedan, "Mistica della femminilità" (Usa, 1963), in cui l'autrice rivendica l'uguaglianza professionale, culturale e politica della donna rispetto all'uomo, era divenuta più che una percezione. Forse per questo, nel film, la protagonista Caroline (Ursula Andress) - che come la Friedan è americana - veste i panni della sensuale assassina.
In realtà non dovrei stupirmi tanto, perché già allora l'embrione di quello che siamo oggi era ben visibile alle intelligenze fini. Era l'inizio di un ciclo; per questo, probabilmente, veniva più facile azzardare ipotesi sul paesaggio futuro. Mi chiedo: siamo oggi alla fine di quel ciclo? O a una sua evoluzione così accelerata da far dubitare che sia lo stesso? Purtroppo non abbiamo più quelle menti a lavoro per poterlo sapere.

P.s. Giudizio personale: il finale non è degno del film. Ho letto che vi furono problemi tra Petri e Carlo Ponti, il produttore; quest'ultimo impose un finale "leggero". Rovinando fortunatamente solo quello, non tutto il film.

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