giovedì 17 dicembre 2009

L'enigma della città bianca


Da cosa proviene quel senso d'appartenenza che proviamo nei confronti della nostra città?

Amo Roma. Ma la amo perché è disseminata di posti in cui ho vissuto più o meno profondamente pezzi di vita? Sicuramente, ma non solo; sarebbe riduttivo. E ne ho la prova: il quartiere che più mi sta a cuore, e che in larga parte è una concretizzazione di un segmento importante del mio carattere (quello che osservo con maggior interesse), è lo stesso per il quale non nutro alcun affetto che derivi dalla memoria, poiché non mi è mai capitato di doverlo frequentare per amicizie, amore o altre storie: l'Eur.


Potrei non sforzarmi molto per spiegarmelo, perché ho avuto la fortuna di trovare una vecchia trasmissione Rai, "Io e...", in cui c'è Fellini che monologa sulla sua predilezione per l'Eur rispetto ad altre zone cinematograficamente più ambite. Ne parla come di un palcoscenico a cielo aperto.
Il complesso, a prima vista, può comunicare un certo disagio. Perché è la realizzazione sospesa di una grandissima illusione (oggi, ma nel '35, quando l'idea di una "grande rassegna planetaria" balenò in testa al Governatore di Roma Bottai, era un bellissimo sogno): quella fascista. Ora non è tanto da considerarsi la causa, ma l'effetto che essa ha prodotto. Anche Pasolini (che proprio lì abitava, a via Eufrate) dovette riconoscere quanto città come Sabaudia, d'architettura e fondazione littoria e per questo inizialmente bistrattate da molti intellettuali (e non solo), mantengano in realtà una bellezza intrinseca proveniente sia da una modernizzazione delle costruzioni - influenzata sì dal razionalismo della Bauhuaus, ma nel pieno rispetto dei canoni della tradizione classica del nostro paese - sia dal dialogo che esse hanno con l'ambiente circostante (almeno quello precedente all'era della speculazione edilizia).
Detto questo, lungi da me il voler fare un'analisi tecnica, primo perché un tecnico non sono, secondo perché non è quella l'accezione dell'Eur che più mi attrae. Ma quella emozionale, intima.
La zona in questione è stata concepita volutamente con un'architettura maestosa, superlativa, destabilizzante attraverso l'eccessiva geometricità. Quasi pedante. Gli edifici sono rettangoli giganti, spigolosi e perfetti. Lunghissimi e bianchi. Le decine e decine di finestre in alto sono quadrati disadorni vicinissimi, numerosissimi e ritmicamente ossessivi; sotto, giganteschi porticati monumentali o colonne senza alcun capitello. E poi statue neoclassicheggianti disseminate regolarmente attorno agli edifici di maggior importanza, mosaici, altorilievi. Provate, se ancora non l'avete fatto, a entrare all'interno del Palazzo dei Congressi: vi sentirete dei lillipuziani, soverchiati dalla maestosità austera degli ambienti.
Non si sfugge, c'è un solo nome dietro questo spettacolo: Giorgio De Chirico. È a lui che si sono ispirati geni come Piacentini, Libera, Nervi ecc... ossia alcuni di coloro che l'Eur l'hanno progettato. Geniali, perché riuscire a trasporre nello spazio reale, lo spirito enigmatico e malinconico che caratterizza i quadri del Pictor Optimus non è cosa da poco. C'è un aggettivo che accomuna il tutto: metafisico. Oltre la percezione del reale filtrata dai nostri cinque sensi, per quello che riguarda la metafisica in pittura. Ora, già appare chiaro un paradosso: come si può palesare nella realtà sensoriale qualcosa che concettualmete non le appartiene, ma che dovrebbe esserne il superamento? Come si può infondere nelle persone che si muovono all'interno di questa "metafisica concretizzata" le sensazioni provocate della metafisica pura, cioè insondata e insondabile? Non è questo un paradosso? Lo è. E, per quanto mi riguarda, gironzolando (preferibilmente di sera o al tramonto) per le larghe vie dell'Eur tale ossimoro è più che una percezione. Inutile sottolineare che ho sempre avuto una passione compulsiva per De Chirico; ancor prima di iniziare a ricordare le mie prime attività oniriche ho conosciuto gli ambienti dei suoi quadri, trovandomi così a mio agio al loro interno che oggi i miei sogni assumono spesso quel tipo di scenografie. Piazze spaziose che non riesco a esplorare interamente perché ostacolato da edifici regolari, continui, monotoni fino alla paranoia; statue neoclassiche, come quelle che attorniano lo Stadio dei Marmi; ombre antropomorfe proiettate nella luce del tramonto; torri, spazio, silenzio diffuso. Persino il treno sbuffante vapore che ogni tanto compare in alcuni suoi quadri (il padre di De Chirico costruì le prime ferrovie in Grecia e ideò la stazione di Volos, città natale del pittore) ha un legame con me: da piccolo mio padre mi portava spesso alla stazione Tiburtina perché, mi disse poi, gli chiedevo in continuazione di "andare a vedere i treni".



L'EUR.
Perché?
Perché?Perché?
Perché?Perché?Perché?
Perché?Perché?Perché?Perché?
Perché?Perché?Perché?Perché?Perché??

Impulso. Percezione. Coscienza. Incoscienza.
C'è più vita nell'idea di realizzare che nell'aver realizzato. L'idea è propulsione in avanti, l'aver realizzato può soddisfare (spesso nemmeno in modo direttamente proporzionale allo sforzo compiuto). Soddisfazione è presto stasi. L'Eur è un'illusione partorita per metà, una realizzazione incompiuta poiché la guerra ha infranto il sogno di una Esposizione Universale che sarebbe stata trionfale; non è punto d'arrivo, ma interruzione brusca. Ciò ne fa l'ultimo dei gioielli romantici. Bellissmo trampolino verso il nulla. Decadenza che si protende verso il mare. E in fondo sono sempre stato attratto dalla decadenza.
Congetture sterili?
Continuo a scavare.






2 commenti: