martedì 6 aprile 2010

Notre-Dame de Paris, l'idealizzazione e la verticalità



Notre-Dame de Paris è senza dubbio la cattedrale più stupefacente che io abbia visitato finora. Ha fatto si che si aprissero in me una o due nuove finestre, che non hanno di chissà quanto allargato la visuale, ma l'hanno resa senza dubbio più qualitativa. Nella vita mi si è più volte riproposta l'artificialità di ogni teoria che non sia empirica: leggere, studiare, immaginare sono tutti verbi transitivi le cui teste vengono spesso mozzate da quel Comitato di Salute Pubblica formato dal vedere, dal toccare, dal vivere. Ciò per dire che una cosa alla lunga deleteria per l'uomo è l'idealizzazione, che resta comunque una delle chiavi per apprezzare il bello. Questo concetto potrebbe ai più sembrare ovvio, banale, ma farlo diventare parte strutturale della formazione del pensiero, cioè assimilarlo davvero, mi è sempre risultato difficile.
È successo però qualcosa di inaspettato: posso tranquillamente dire che nel caso di Notre-Dame nessuna idealizzazione si carica maggiormente di fantasie del visitarla realmente. Ecco cosa mi ha stupito davvero! Per la prima volta l'idealizzazione di un'opera è coincisa col viverla! Succede, ad occhio e croce, solo nell'innamoramento! L'imponenza, la luminosità cangiante che entra dalle magnifiche vetrate, quell'essere soverchiati e, contestualmente, l'apparente fragilità delle architetture inducono l'umano/lillipuziano a rifletter sulla sua nullità materiale. E a farlo come dal ventre di un gigantesco insetto. Dentro Notre-Dame ci si sente un po' come quei filosofi che Voltaire fa parlare col gigante Micromega, il curioso abitante di Sirio alto 36 kilometri!

La metafisica dell'altitudine, altro spunto di riflessione che mi ha fornito questo geniale pachiderma: l'architettura gotica a differenza di altre, quali per esempio quella romanica o quella barocca, permetteva di sviluppare navate altissime, oltre i 30 metri. Questo, mi pare d'aver capito, grazie a un sistema di strutture esterne che hanno il compito di scaricare il peso lateralmente e a una moltitudine di "nervature" tubolari interne, che si possono facilmente notare in una qualsiasi chiesa in tal stile costruita. Alla luce di questo, tutto si svulippa in una spettacolare verticalità! Ed è questo il concetto che mi affascina: la verticalità. Essa simboleggia la vitalità, lo stare in piedi, il protendersi verso qualcosa che è sopra e di cui intuiamo l'importanza e la necessità, così come la testa è posta in cima al corpo. Un allentamento progressivo delle catene della gravità. Infine, verticalità in antitesi con orizzontalità: ciò che è privo di vita giace orizzontale.

Ma il paradosso mi perseguita anche qui: come può essere attratto dalla verticalità uno che soffre di vertigini? Ho fatto uno sforzo. Sono salito in cima alla cattedrale, da dove Chimères e gli altri gargoyle contemplano Parigi da quasi 850 anni. Ho camminato lungo gli stretti ed ariosi passetti evitando di guardare più in basso del mio naso, spingendomi fin su la torre campanaria in cui Quasimodo saltellava leggiadro a più di trenta metri! È un grosso passo avanti per uno che di solito ha giramenti di testa se si affaccia dal secondo piano.

Certo è che se la stretta connessione tra vertigini e verticalità si chiama vitalità, allora mi tengo questo paradosso tutta la vita.

2 commenti:

  1. basta curiosare. almeno ora. sono belli questo brani che ho letto. simonetta

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