lunedì 27 settembre 2010

Generalizzare: deleterio processo cognitivo



Sto maturando una forte idiosincrasia per coloro che hanno l'abitudine di generalizzare. Naturalmente me compreso, quando ci casco. Per esempio, quante volte sentiamo l'incipit "questo è tipico degli italiani..." ? Non è infrequente. E sembra essere socialmente trasversale; direi che è tipico degli italiani dire "questo è tipico degli italiani...". Ecco, appunto! Ad ogni modo, nel momento in cui generalizziamo la nostra immaginazione si polarizza su una determinata realtà, quella che per un motivo o per un altro diviene alla nostra attenzione macroscopica rispetto alle altre, considerate momentaneamente accessorie. Salvo poi constatare, in tutt'altro contesto e magari con più calma, che per ogni situazione o idea che ci colpisce ne abbiamo vissuta o conosciuta un'altra antitetica e ugualmente intensa.

Ributtanti ritornelli come "lo fanno tutti...", "lo dicono tutti..." o "lo sanno tutti che...", nel linguaggio corrente, corroborano spesso il tentativo di convincere altri o se stessi ad avallare o rifuggire un'idea, un'opinione. Essi sono paragonabili a un morgana, un'illusione ottica. Oltre a rappresentare una gabbia mentale per l'interlocutore, poiché alienano la sua conoscenza delle realtà particolari proponendogliele come fossero cloni seriali da non considerare se non in blocco.

In questo modo diventa difficoltoso non tanto controbattere, quanto far realmente comprendere a chi ha appena fatto di tutta l'erba un fascio l'eccessiva eterogeneità degli esempi che accomuna: egli risponderà che le vostre argomentazioni sono marginali, che non intaccano la sua tesi o che, tutt'al più, sono l'eccezione che conferma la regola.

Ecco, basta con queste eccezioni che confermano regole. Qui da noi si è talmente abusato di questo detto che ora l'eccezione sconfessa la regola. O da quest'ultima è confermata, come si preferisce.

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